Nel messaggio che nell’occasione è stato diffuso, Trump afferma che la scelta di adottare un figlio rappresenta una ricchezza sia per le famiglie che per i bambini. “Ogni anno – afferma il presidente americano -, famiglie generose e amorevoli adottano migliaia di bambini e danno loro l’affetto, le attenzioni e le opportunità che meritano. L’adozione è una vera benedizione che arricchisce notevolmente sia la vita dei genitori che quella dei bambini. Durante il mese dell’Adozione Nazionale, celebriamo le migliaia di famiglie che si sono ampliate grazie all’adozione e riconosciamo la resistenza e la resilienza dei bambini che stanno ancora aspettando di trovare la loro casa definitiva”.
Il 31 ottobre 2017, il presidente americano Donald Trump ha dedicato il mese di novembre 2017 alla promozione delle adozioni nazionali.
Nel messaggio che nell’occasione è stato diffuso, Trump afferma che la scelta di adottare un figlio rappresenta una ricchezza sia per le famiglie che per i bambini. “Ogni anno – afferma il presidente americano -, famiglie generose e amorevoli adottano migliaia di bambini e danno loro l’affetto, le attenzioni e le opportunità che meritano. L’adozione è una vera benedizione che arricchisce notevolmente sia la vita dei genitori che quella dei bambini. Durante il mese dell’Adozione Nazionale, celebriamo le migliaia di famiglie che si sono ampliate grazie all’adozione e riconosciamo la resistenza e la resilienza dei bambini che stanno ancora aspettando di trovare la loro casa definitiva”. Dal 1988, anno in cui la pillola RU486 per l’aborto farmacologico è comparsa per la prima volta in Francia, essa si è progressivamente diffusa in tutti gli Stati del mondo. Nel 1991 è stata adottata dalla Gran Bretagna, nel 1992 dalla Svezia e poi a seguire dagli altri Stati europei. In Italia è arrivata nel 2005, negli Stati Uniti nel 2000. Col passare degli anni, sono state quindi sempre di più le donne che hanno scelto di abortire con il metodo chimico che, ricordiamo, consiste nell’assunzione di due farmaci in due momenti diversi e si completa di solito (ma non sempre) nell’arco di tre giorni.
La giornalista Maria Gallagher - ex femminista pro-choice convertitasi alla causa pro-life, oggi Direttore Legislativo presso la Pro-Life Federation della Pensilvania -, ha scritto un articolo in cui elenca i dieci principali motivi che spiegano perché gli attivisti pro-life degli Stati Uniti stiano vivendo un momento storico particolarmente entusiasmante.
Il prof. Timothy Brahm continua con la sua azione di smascheramento della retorica pro-choice ingannevole. Dopo aver mostrato come i pro-life dovrebbero argomentare per confutare quattro dei principali argomenti pro-choice a favore dell’aborto, ora, in un nuovo articolo[1], affronta un’altra pietra miliare della propaganda sleale pro-choice, che suona così: “Perché vuoi costringere le donne a diventare madri?”.
“Chi sei tu per giudicare?”, “Perché vuoi controllare il corpo delle donne?”, “Sono a favore dell’aborto perché ho compassione per le donne che si trovano in condizioni difficili”, “Se rendi illegale l’aborto, migliaia di donne moriranno a causa degli aborti clandestini”. Queste quattro frasi costituiscono il classico leitmotiv espresso dalle persone pro-choice per giustificare l’aborto legale, ma si tratta di argomenti guidati da una retorica scorretta e ingannevole.
Il Senato del Texas ha approvato la legge “House Bill 13” che rende più severi e minuziosi gli obblighi di segnalazione delle complicazioni insorte a seguito di aborto, per coloro che eseguono le interruzioni di gravidanza. La nuova legge prevede che le strutture sanitarie, incluse le cliniche abortive, gli ospedali, i pronto soccorsi e le altre strutture mediche, segnalino entro tre giorni, alla “Texas Health and Human Services Commission”, ogni complicazione insorta dopo l’aborto, come il decesso della madre, la perforazione uterina, le infezioni… Steven Ertelt - presidente del “Colorado Citizens for Life” e membro del consiglio direttivo del “National Right to Life Committee” (“Comitato nazionale per il diritto alla vita”) -, ha pubblicato sulla piattaforma prolife LifeNews.com, di cui è fondatore ed editore, l’articolo “La Regola D’oro può aiutarci a riconoscere la dignità del bambino non nato”[1], che qui di seguito riportiamo rielaborandolo un po’.
Il dott. David A. Prentice, Vice Presidente e Direttore di Ricerca al Charlotte Lozier Institute di Washington DC, nonché professore associato di genetica molecolare all’Istituto Giovanni Paolo II, sempre di Washington DC, nel 2015 è stato invitato a parlare del dolore del feto dal punto di vista scientifico al talk show radiofonico “A Point of View” della britannica BBC Radio 4. L’intervista è avvenuta a ridosso dell’approvazione del “Pain-Capable Unborn Child Protection Act” da parte della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, la legge che protegge dall’aborto i bambini non nati in grado di provare dolore che, di fatto, proibisce l’aborto dopo la 20ma settimana di gestazione, perché è scientificamente provato che a questo stadio dello sviluppo il bimbo sente dolore durante l’aborto. È appunto questo l’argomento approfondito dal dott. Prentice durante l’intervista radiofonica della BBC. Operation Rescue, di Wichita in Kansas, è una delle maggiori Organizzazioni pro-life statunitensi; tra i suoi obiettivi vi sono quelli di porre fine all’aborto e ripristinare il titolo di persona giuridica nei confronti del bambino non nato, cioè di soggetto titolare di diritti. A giugno di quest’anno, l’associazione ha scoperto che Google aveva manipolato i parametri di ricerca al fine di ridurre drasticamente la visibilità a una pagina del loro sito web (OperationRescue.org) contenente importanti informazioni sull’aborto in America.
Il 3 giugno 2017, sull’Australian Daily Telegraph, è uscito un articolo[1], [2] della giornalista Corrine Barraclough a proposito del collegamento tra il trauma dell’aborto e il suicidio maschile. Barraclough lo ha scritto dopo aver parlato con Julie Cook, direttrice nazionale di “Abortion Grief Australia” (AGA), un’organizzazione no profit specializzata nel fornire assistenza e sostegno a coloro che sperimentano il dolore post-aborto o una crisi a seguito di una gravidanza.
Tra le virtù smarrite da recuperare, lo scrittore Alessandro Pronzato inserisce il “silenzio” e la “parola”. Silenzio e parola camminano insieme, sono tra loro complementari, ciascuno ha bisogno della presenza dell’altro per manifestarsi nel pieno della sua essenza e insieme generare equilibrio. “Non ci può essere parola se non c’è, insieme, silenzio – scrive Pronzato -. Pure la musica è fatta di suoni e pause. Lo scopo essenziale del silenzio è quello di conferire spessore di significato alla parola, assicurare una risonanza alla parola, farcela penetrare dentro”. Dom Bernardo Olivera, monaco benedettino e già Abate Generale dei Trappisti, osserva che silenzio e parola “hanno lo stesso valore, sono inseparabili, il valore dell’uno è correlativo al valore dell’altra”.
Ogni volta che si prova a dire qualcosa a proposito dello sfruttamento nei confronti delle “donatrici” di ovuli e delle madri surrogate da parte di uomini gay che vogliono diventare genitori, si leva immediatamente una folta schiera di voci che ti rispondono che il mercato riproduttivo è alimentato per il 90% da coppie eterosessuali e che, perciò, sono costoro a dover essere biasimate e non gli omosessuali, i quali con il loro misero 10% costituiscono una fetta irrisoria di questo business.
Ora, se si guarda alla società di 10-15-20 anni fa, questi dati possono essere considerati veri, ma alla luce delle mutazioni legislative sempre più gay-friendly degli ultimi anni, con un numero sempre maggiore di Stati che hanno introdotto leggi favorevoli al matrimonio gay, hanno esteso l’accesso alle pratiche di fecondazione artificiale anche a single e coppie dello stesso sesso, hanno reso lecita la pratica dell’utero in affitto, è verosimile pensare che quelle percentuali siano oggi molto cambiate. È, infatti, innegabile il fatto che se si legalizzano “nuovi diritti” e si estende la possibilità di usufruire di determinati trattamenti a un pubblico più vasto a cui prima erano preclusi, ci saranno sempre più persone che vorranno fruire del “nuovo diritto” e di quei trattamenti, determinando un innalzamento delle richieste, soprattutto poi se l’unica possibilità che i nuovi utenti hanno per diventare genitori è quella di avvalersi di quelle pratiche specifiche. Quello che vogliamo pertanto verificare è se le leggi gay-friendly degli ultimi anni abbiano portato a una crescita del business riproduttivo Lgbt e, in caso di risposta affermativa, provare a quantificare l’entità di questo business. I nati da fecondazione eterologa sono tanti e sempre di più sono quelli che rivendicano il diritto di sapere da dove vengono. Si riuniscono in associazioni e gruppi online, dove condividono la loro storia; rendono pubblico il loro dolore; condannano l’industria della fecondazione artificiale che li trasforma in prodotti frutto di mere transazioni commerciali, annichilendo i loro diritti e bisogni; lottano contro il muro d’omertà e carenza d’informazioni che quasi sempre si pone loro davanti non appena cercano di rintracciare le proprie origini biologiche: le radici fondanti l’identità personale di cui si sentono defraudati; descrivono le difficoltà incontrate nel tentativo di dare un volto e un nome al donatore/genitore biologico mancante, e agli altri mezzi-fratelli e parenti (nonni, zii, cugini) sconosciuti, che vivono da qualche parte là fuori nel mondo.
Dall’Asia all’America, dall’Europa orientale all’Inghilterra e alla Spagna, i “nuovi diritti” in ambito procreativo si consumano tutti sulla pelle delle donne: le fornitrici di ovuli e le locatrici di utero.
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May 2021
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